La Sacca, don Redento, la campagna, il Public
“La Sacca una volta era una zona molto povera, abitata da contadini. Quelli di Esine ci snobbano, ma adesso vengono a vivere qui”.
La Sacca di Esine... ricordo la prima volta che ci sono stato, tanti anni fa.
Diciottenne o poco più, ci arrivai su un’automobile guidata da alcuni habituè, persone dell’Alto Sebino, che dicevano: “Vedrai come ci divertiremo al Public, è bellissimo, c’è tantissima gente...”.
Ricordo quello stretto tratto di strada dopo Montecchio, al buio, in mezzo alla campagna... sembrava di andare chissà dove.
E poi, ad un tratto, ecco un edificio che non faceva pensare ad un locale frequentato da ragazzi e giovani. In realtà, quello era il Public House.
Musica, divertimento, vita, birra e tanto altro.
Ecco... a distanza di alcuni decenni, ogni volta che sento nominare la Sacca di Esine mi viene subito in mente il Public.
Questo viaggio nella frazione del Comune di Esine non poteva che iniziare proprio lì, pochi metri dopo il cartello che indica l’inizio del territorio esinese.
E lui, il vecchio edificio è ancora lì, però sembra un po’ più triste, addormentato.
In effetti, questo è un sabato mattina (non un sabato sera...) di metà maggio e la Sacca si è svegliata da poco sotto un timido sole.
Per le strade non c’è nessuno, incontro solo una signora che passeggia sul sagrato della chiesa parrocchiale.
Lì accanto c’è un cartello con una scritta che attira la mia attenzione: “Mutuo aiuto. Chi ne ha, ne porti. Chi non ne ha, ne prenda”. Sotto la scritta ci sono quattro ceste di legno (quelle ‘della frutta’).
In poche parole è descritto il pensiero di don Redento Tignonsini, il parroco della Sacca scomparso lo scorso autunno a 87 anni. Un prete particolare, vulcanico.
Un sacerdote che ha saputo lasciare il segno ed è rimasto nel cuore di tutti gli abitanti della Sacca.
“Certo che ci manca don Redento - dice l’anziana signora - era bravo, umano, sapeva sempre quali parole usare, ma non usava sole le parole, lui faceva anche i fatti. La Sacca si sente orfana di lui, perchè noi non possiamo dimenticare che lui ha voluto venire qui da noi e c’è restato fino alla morte, come facevano i parroci di una volta, che non andavano in pensione. Lui non è andato in pensione...”.
SUL NUMERO IN EDICOLA DAL 21 MAGGIO