La lotta al virus nel nuovo libro di Gallera
Si intitola "Diario di una guerra non convenzionale" e ripercorre gli istanti più drammatici vissuti nella nostra regione
Giulio Gallera, ex assessore al Welfare di Regione Lombardia, ha scelto la formula del diario personale per compiere quella che può essere definita come un'operazione verità rispetto alle decisione prese nella corsa contro il tempo (e contro l’inerzia del governo centrale) che lo ha visto smontare e rimontare la macchina della sanità regionale, adeguandola all'emergenza che via via stava attanagliando la popolazione, alle prese con confinamento, contagi e ospedalizzazioni. "Diario di una guerra non convenzionale - La nostra lotta contro il virus" è un lavoro col quale l'attuale consigliere regionale intende smentire i terribili attacchi mediatici e politici che hanno accompagnato quella stagione.
Un diario per raccontare la gestione dell'emergenza sanitaria
Una guerra non convenzionale, dai codici indecifrabili - specie nel momento in cui il termometro dell'emergenza ha cominciato la sua spaventosa crescita - combattuta attraverso una artiglieria basata sulla spasmodica ricerca di posti letto, respiratori, tamponi e mascherine. E' l'esperienza della pandemia da Coronavirus vissuta sulla pelle dei cittadini lombardi e raccontata, "a bocce ferme", dalla figura che, proprio nelle istantanee di un vissuto "sconvolgente e inimmaginabile, segnato da un carico immenso di dolore e angoscia ma anche di attimi di umanità e speranza" che era cominciato da una telefonata ricevuta alle 21.30 del 20 febbraio 2020, quando cioè era stato individuato il primo paziente Covid nella nostra regione, ha provato a contenere uno tsunami senza precedenti. Obiettivo di Gallera con quest'opera è, più precisamente:
"Far capire il clima in cui sono state prese le scelte, frenetiche, che ci hanno consentito di gestire la pandemia, un vero e proprio tsunami inimmaginabile. E' come se avessimo guidato una macchina in piena notte a fari spenti. Come se avessimo combattuto un virus a mani nude".
Le tesi di Gallera
Lo stesso respinge poi gli attacchi che hanno macchiato l'immagine di una Lombardia giudicata incapace di gestire la pandemia nella prima ondata da Covid, momento nel quale, dice coi dati alla mano:
"A fronte di un milione e mezzo di infettati, 750mila si trovavano nella nostra regione. Da noi si è concentrata metà delle infezioni dell'intero Paese. Dunque ci sono regioni che hanno avuto meno casi e più morti".
Decisioni e misure, continua Gallera, "per via di una sottovalutazione del fenomeno da parte di Roma, sono state prese al buio".
Nella dialettica e negli incontri confusi, febbrili di quei giorni - il 5 marzo in una riunione con l’Unità di crisi a Palazzo Lombardia il ministro alla Salute Roberto Speranza ancora non indossava la mascherina - dove la percezione della pericolosità del virus viaggiava a velocità differenti. Il libro, quindi, diventa una cronistoria per interpretare meglio quanto accaduto.
Una storia da cui imparare
"Arrivano a ondate, arrivano a ondate", è stato, per esempio, l'allarme lanciato a Gallera dal direttore del pronto soccorso di Lodi negli istanti in cui il nosocomio viaggiava al ritmo di 100 ricoveri al giorno. Senza dimenticare la telefonata di un giovane col quale Gallera ha collaborato alla istituzione della zona rossa, il quale, con gli occhi della paura e la voce tremolante al telefono, lamentava che la madre, in evidenti difficoltà respiratorie, era rimasta nel parcheggio della sua abitazione per diverso tempo prima di essere reindirizzata dal personale di Areu nel più vicino ospedale, emblema, proprio in quel frangente, del collasso. L'autore del libro si leva inoltre qualche sassolino:
"E’ sbagliata la tesi secondo cui il virus è stato combattuto meglio laddove era presente una medicina territoriale più efficace. A dimostrarlo è il fatto che la provincia che ha avuto i maggiori casi, durante il picco dell'epidemia, è stata quella di Piacenza con 270 morti ogni 100 mila abitanti, a cui hanno fatto seguito Bergamo e Lodi con 256. Tutti usciamo da questa esperienza con la certezza che il re sia nudo e pure nella sanità. Tanti sono stati i tagli effettuati dal 2007 in poi, i limiti alle assunzioni e le leggi che hanno imposto di avere 3 posti letto ogni 100 abitanti. Scelte dettate dalla necessità di voler spendere meno".
Ora però è cambiato lo spartito, assicura nelle sue conclusioni:
"C’è un clima diverso, pur nella consapevolezza di dover intervenire per avere un rafforzamento della medicina territoriale. I soldi non mancano, ma servono uomini e contenuti".