il viaggio

Losine, paese vivo e di-vino

Losine, paese vivo e di-vino
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Oggi andiamo a Lúden o Löden. Che non è in Baviera, ma in Valle Camonica.

È sempre interessante seguire i ragionamenti degli storici sull’origine e l’etimologia dei toponimi. Io, non-storico ma contastorie, sono convinto che sia sempre il nome italiano a derivare da quello dialettale… Quindi da Lúsen a Lösen o Lósen - varianti dialettali dove nel parlato la S sonora, diventa una “D” - deriverebbe il Losine dei geografi dell’Italia Unita. Ma naturalmente il Camuno continuerà a leggere LoDine. Fa chè?!

Allora ho la tentazione di confondere un po’ le acque anch’io e giocare sulle parole, ipotizzando che Lusen, o Luden, derivi dal latino ludere, giocare. Quindi il Camuno sarebbe un “Homo Ludens” per i romani, che ritenevano che i camuni fossero giocosi, e gaudenti. Lo so che è una idea bislacca, ma perché no? Una più, una meno…

Ho parcheggio nel cuore del paese, in piazza Cappellini, e mi avvio a piedi, lasciandomi guidare dalle vie, dai loro nomi, dai segni, dai profumi. Sono tante le tracce e le memorie lasciate dalla storia di questa gente che mi assomiglia. Mi ritrovo nei vicoli più stretti, tortuosi, un po’ ombrosi, come dentro la mia infanzia. Mi accompagnavano, anche allora, curiosità e timore. E le rondini, - ma in altre stagioni, - tagliavano le strette fasce sghembe di cielo che i tetti lasciavano libere, e riempivano il silenzio di voci stridule. Ora vedo solo le scie degli aerei in un cielo terso di fine gennaio, e ne sento un lontano ronzio. Torneranno, lo so, le rondini.

Qui a Losine ci furono con certezza insediamenti romani, come indicano anche una lapide dedicata da un Lucio Decio Terzo alla Vittoria, custodita però nel Museo archeologico  romano di Brescia, e un cippo alto oltre un metro, - murato qui all'esterno della canonica - che nomina un  Lucio Decio Quirino.

Losine era probabilmente un presidio militare importante, anche se non quanto Cividate o Cemmo. Il seguito della sua storia, dopo Roma, fu parallelo a quello vissuto dall’intera Valle Camonica. Dopo i romani fu dei longobardi, poi dei franchi e, infine, del monastero francese di Tours: gentile dono di Carlo Magno al suo monastero prediletto. Passò poi ad essere feudo vescovile, poi dei Martinengo e dei Griffi ed entrò nel sanguinoso groviglio delle piccole ma feroci lotte fra signorotti locali, prima di farsi Comune.

Un castello, ora scomparso, e l’annessa chiesa di S. Maria Assunta, furono costruiti proprio dai Griffi, sulla cima della collina sovrastante il paese. Poi nelle lotte fra potenti, prevalsero i Federici che distrussero il castello dalle fondamenta. Rimase in piedi solo l’antichissimo santuario di Santa Maria Assunta, tipico esempio di chiesa castrense parte integrante del castello. La chiesetta si salvò forse solo per pietà religiosa, o per inutilità della fatica di distruggerla.

Chiesa e castello si trovavano nella località e contrada, che ho raggiunto a piedi dal centro, che si chiama, non per nulla, Castello. Una frazione che si può facilmente raggiungere anche in auto, ma la passeggiata a piedi, è molto più suggestiva. Questa contrada subì un incendio a metà dell’800 e molte case furono ridotte a nudi muri. In parte sono state ricostruite in qualche modo, ma non basta a ridare la bellezza che doveva avere questo piccolo borgo, staccato da Losine.

È proprio camminando a caso, dentro il paese - a volte ritrovandomi al punto di partenza, - che a un certo punto prendo in discesa la “via del Sole”. Sto cercando l’antica Parrocchiale di San Maurizio, di cui intravedo dall’alto il campanile.

Ho in mente quello che ne scriveva P. Gregorio di Valcamonica, nel 1698. Diceva che “la chiesa di S. Maurizio tiene avanti un maestoso portico con colonne di marmo, e si va rimodernando con lustro e si ha pure quadri di stima e marmore tombe con le ceneri di persone di conto…”. Qualcosa troverò, sicuro.

 Sulla sinistra mi appare prima una grande chiesa di architettura ibrida ma non più antica di fine ‘800. Molto grande per le dimensioni del paese, penso. Le porte sono chiuse.

Più avanti, ma poco, sulla destra, vedo un insieme disorganico di edifici che potrebbe essere una chiesa, ma composta da forme piuttosto eterogenee di cui, da questa posizione, non capisco ancora la logica.

In quel momento un uomo, la cui tenuta e atteggiamento mi sembrano da uomo di chiesa, si avvicina a una porta laterale della costruzione e la apre. Mi avvicino… “Buongiorno, lei è il parroco?”. - “Sì”. “La chiesa non si può vedere?” Mi riferisco a quella grande - “No, quella è chiusa. È troppo grande per noi adesso. La apriamo solo d’estate, coi villeggianti. È la chiesa nuova del Sacro Cuore”. - “Ah…” - “Ma d’inverno usiamo il ridotto dell’antica chiesa di San Maurizio. Questo”.

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