Luca e l'arte del tatuaggio: "Ascolto le persone e traduco le loro storie in una bozza artistica"

Classe 1982, bergamasco di origini, ma ormai camuno d’adozione, Luca Merelli è titolare dello studio L’Eretica Tattoo Factory. Un artista che ti incanta con le sue meraviglie disegnate sulla pelle. I suoi profili social sono un album colorato di progetti, sogni e storie raccontati da ogni persona che bussa alla sua porta e che lui trasforma in qualcosa di reale e unico.
Non è un caso se siamo qui, a Pisogne, in piazza Umberto I. Il 24 luglio si celebra la giornata internazionale del tatuaggio e quale miglior modo per noi se non parlarne attraverso chi ha fatto di questo mondo il suo pane quotidiano? Luca ci prende per mano e ci porta dentro le sue opere d’arte.
Perché hai chiamato così la tua attività? “L’ho scelto un po’ per caso, ma non del tutto. Volevo un nome che non si focalizzasse su di me e nemmeno un nome legato ai programmi televisivi come si faceva allora. Così mi sono imbattuto nella parola ‘Eresia’, che ha più significati, quindi ho cercato di legarmi semplicemente al fatto che un eretico è anche uno che la pensa sempre in modo diverso. In una società che continua a crescere ma è ancora legata a diversi pregiudizi soprattutto sulle cose nuove come poteva essere il tatuaggio, ho immaginato che una persona che si tatua un po' eretica lo è. Poi ho aggiunto ‘factory’ ispirandomi a quella di Andy Warhol, un ambiente di artisti che creavano arte in qualsiasi modo possibile e immaginabile. Noi facciamo tatuaggi ma siamo anche pittori e l’idea che ho fin dall’inizio è quella di organizzare mostre o eventi legati all’arte”.
Riavvolgiamo il nastro, perché la storia di Luca è da raccontare fin dall’inizio.
“Sono appassionato d’arte fin da bambino e prima del tatuaggio sono appassionato di disegno realistico. In realtà, prima di fare il tatuatore, ho fatto l’elettricista per tantissimi anni e ho studiato proprio per questo. Ho iniziato a lavorare a 15 anni e andavo a scuola il sabato, ma prima di tornare a casa mi fermavo al cimitero di Bergamo e mi perdevo a disegnare le statue su un foglio bianco con matita e carboncino oppure in biro per non cancellare… riempivo tutti i fogli che trovavo in casa dei miei genitori. Qualche anno dopo ho iniziato ad aerografare nel negozio di pelletteria di mio fratello”.
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