Il 10 ottobre il Centro Congressi di Boario ha accolto il 12° Sente Mente® Day, dove si sono dati appuntamento 230 Professionisti della Cura e della Relazione delle RSA. Una giornata di formazione gratuita per costruire una nuova cultura del fine vita. Una giornata che tocca il cuore, ma offre anche strumenti concreti, pratici e subito utilizzabili. Tutto questo per non trovarsi più impreparati, ma capaci di onorare la vita e la buona cura fino all’ultimo respiro. Ed è così che incontriamo Rosalia Consoli, felicitatrice e Formatrice del Sente-mente®Modello.
“Sono un’infermiera che lavora in ADI con la cooperativa La Salute in Valle e nel 2016 sono venuta a conoscenza del Modello Sente-Mente, nato due anni prima. Tutto è partito dalla sensazione che le persone anziane, e soprattutto quelle che vivono con demenza, facciano davvero tanta fatica a mantenere la loro dignità e la loro libertà. Questo è stato per me il punto d’inizio, quello in cui è scattata l’indignazione di fronte alla poca attenzione che queste persone ricevono. Perché le persone rimangono persone anche quando per età o per malattia non sono in grado di autodeterminare il loro futuro, lo rimangono fino all’ultimo istante. E non perché non capiscono, o sembra che non capiscano, smettono di essere persone, anzi! La cultura che abbiamo oggi rispetto a questo, purtroppo, ci porta a pensare che quando hai la demenza sei un guscio vuoto, che nulla ha più senso: non ha senso parlarti, non ha senso chiederti cosa preferisci, non ha senso credere che tu possa avere desideri o capire ciò che accade intorno a te”.
Non è così: “Studi scientifici ci dicono una cosa totalmente diversa. Se è vero che, a livello di mente, alcuni “ingranaggi” non funzionano più perché c’è una perdita della capacità di articolare la parola, di formulare un pensiero, è altrettanto vero che la parte riguardante la sfera emotiva rimane attiva fino all’ultimo respiro. E se partiamo da questo fatto, dobbiamo comprendere che le persone che vivono con demenza sentono ancora emozioni, quindi, come noi, si arrabbiano, si sentono tristi, percepiscono vergogna, paura, noia; e ancora, si sentono inutili, incapaci di essere ancora le persone che sono state. Queste emozioni vengono espresse attraverso comportamenti, che spesso non sono accettabili socialmente, perché sono disturbanti. È così che, a volte, l’agitazione (come spiegano gli studi scientifici a riguardo) potrebbe essere il suo modo migliore per farmi capire che c’è qualcosa che non va, qualcosa di fisico, di psicologico, di ambientale, di sociale. Una televisione a volume un po’ troppo alto che lo disturba, oppure un dolore che non sa localizzare, un bisogno che non sa spiegare, sono manifestazioni frequenti. Nella maggior parte dei casi, quando ci sono questi comportamenti disturbanti (che in Sente-mente chiamiamo comportamenti indicativi), la risposta del mondo socio sanitario spesso si limita alla contenzione farmacologica. “Sei agitato? Prendi le gocce”.
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