“1050 giorni di carcere, ho visto criminali spietati togliere la maschera. Le visite della mamma, quelle lettere scritte a mano e la solitudine che veniva a trovarmi di notte”
S. è seduto accanto alla finestra del salotto di casa sua, un respiro profondo prima di raccontare quegli anni passati in carcere. Anni tosti, anni che ti segnano, che ti restano dentro per sempre. Per raccontare il carcere chi di meglio può esserci se non chi l’ha vissuto sulla propria pelle? S. ha 43 anni, è originario della bassa Valle Camonica, più volte in carcere, a Brescia, “ma il carcere mi ha cambiato, adesso sono un uomo migliore”. S. vuole partire dalla fine, quando ha incrociato la parola libertà: “Sono stato dentro per 36 mesi e sono uscito ad aprile 2020 quando hanno liberato i detenuti per il Covid. Avevo una casa e un lavoro sicuro e quindi il magistrato ha deciso per l’affidamento in prova. La notizia è arrivata come un fulmine a ciel sereno, ero di fuori a prendere il sole e mi hanno chiamato di sopra in sorveglianza. L’ho detto ai miei amici, mi hanno abbracciato, erano felici per me”.
Amici? “Sì, all’interno del carcere si creano molte amicizie. Quando sono entrato nel 2017 sapevo già cosa volesse dire, sapevo come comportarmi, che ci sono delle regole non scritte da rispettare, l’ordine, la pulizia e il rispetto. Così ti conquisti la solidarietà di chi c’è con te. Nel 2017 mi sono consegnato spontaneamente, ho preso il treno, sono arrivato al carcere, ho suonato il campanello e ho detto che ero latitante. Purtroppo o per fortuna, forse dipende dai punti di vista, ho incontrato tanti amici del mio passato vissuto sulla strada. Il mio più grande amico è il mio compagno di cella, Peps, in lui ho trovato un punto di riferimento, abbiamo avuto fin da subito un grande feeling. Lui ha saputo farmi tirar fuori la spina dorsale, mi ha spronato a guardarmi dentro, nel profondo. Mi ha insegnato la determinazione: se vuoi qualcosa, punta dritto e vai a prenderla. Abbiamo parlato tanto e di ogni cosa e poi lavoravamo insieme… siamo diventati come fratelli. La nostra era l’unica da due, poi ci sono quelle da tre, da quattro, da otto, da sedici”.
Come si vive in sedici? “Bisogna rispettarsi e rispettare le regole, l’ordine, la pulizia… Non le rispetti? Ci si richiama una, due, tre volte e poi c’è chi ti fa capire come bisogna fare”.
Come si vive in carcere? “Noi della Valle Camonica siamo considerati dei lavoratori e quindi dopo sette, otto mesi ho iniziato a lavorare facendo manutenzioni per sei ore al giorno… è stato un motivo per staccare dai pensieri che passavano sempre per la testa”.
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