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Angela, un anno dopo l'alluvione: "Siamo ancora fuori casa"

Angela, un anno dopo l'alluvione: "Siamo ancora fuori casa"
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Un anno fa. Era la notte tra il 27 e il 28 luglio. Il cielo si fa minaccioso, la pioggia inizia a scendere incessante seguita da un cumulo di fango, massi, alberi e detriti che travolge Niardo. Senza pietà. In sole due ore quasi venti centimetri di acqua hanno ingrossarono i torrenti Re e Cobello al punto da farli esondare.
E poi la paura, la disperazione, la conta dei danni, la speranza che si accende, la voglia di ripartire. “Quella notte è successo quello che uno mai si aspetterebbe nella vita. Sentivamo fischiare il vento in un modo diverso dal solito ed è lì che ho iniziato a pensare al peggio”, ci aveva raccontato Angela Bonfadini un mese dopo il disastro. Ha dovuto lasciare la sua casa, in località Crist, la più colpita, insieme ai suoi suoceri e ad altre famiglie. La furia del temporale s’è portata via in pochi secondi tutto ciò che aveva costruito con tanti sacrifici.
E oggi quella casa è ancora vuota, dove rimbombano i pensieri e le paure: “Ci sono tornata, abbiamo pulito, ma mi sento soffocare ogni volta che ci metto piede… è un luogo in cui ti sei sentito in trappola e continui a sentirti così anche in realtà non c’è nulla che ti tiene dentro. Sarà una mia sensazione, ma sento ancora l’odore del fango”.
Riavvolgiamo il nastro, torniamo a quella sera, quando non c’era nemmeno Andrea, suo marito, che è un volontario dei vigili del fuoco di Breno ed era uscito poco prima per intervenire su un allagamento. C’era invece il piccolo Leonardo, che aveva soltanto sette mesi: “Dormiva nella sua cameretta, l’ho avvolto in una copertina e ho aperto la porta interna che va sulle scale per salire dai miei suoceri, ma nel frattempo loro erano già scesi… avevano aperto la finestra del bagno e vedevano la colata di fango che scendeva a valle. Sono tornata nel mio appartamento per prendere il latte, la portafinestra è scoppiata e mi sono ritrovata con i mobili che mi ruotavano attorno, era buio… mia suocera temeva fossi morta, continuava a chiamarmi, ma io non riuscivo a rispondere. Ero ricoperta di fango, mi usciva il sangue dalle orecchie… mi hanno portato in ospedale e il giorno dopo sono tornata a casa”.

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