Intervista al vice direttore del Corriere della Sera Venanzio Postiglione - Ecco il “nuovo” mestiere del giornalista: curiosità, serietà e credibilità = fiducia

Intervista al vice direttore del Corriere della Sera Venanzio Postiglione - Ecco il “nuovo” mestiere del giornalista: curiosità, serietà e credibilità = fiducia
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Nei giornali si va sempre di fretta. Venanzio Postiglione, vicedirettore del Corriere della sera, si ritaglia il tempo per una chiacchierata. E dirige una scuola di giornalismo, intitolata a Walter Tobagi. Se si va di fretta tanto vale entrare a gamba tesa sul tema.

La crisi che sta attraversando la stampa è dei giornali o dei giornalisti?

“Sono in difficoltà i giornali cartacei perché il mondo è cambiato, ma il giornalismo è vivo e penso sarà sempre più vivo perché le persone, nel mondo totale una notizia o una presunta notizia, avranno sempre più bisogno di avere fiducia. La parola chiave del nostro tempo è fiducia e quindi per chi fa informazione in modo serio, credibile e professionale c’è ancora una grande opportunità ma soprattutto portando il giornalismo di qualità sul digitale”.

Quindi il cartaceo non ha futuro?

“il cartaceo non è finito, resterà molto molto a lungo, magari per sempre perché i mezzi vanno avanti sempre di pari passo, non c’è un mezzo che ne sostituisce un altro, pensiamo alla radio che è eternamente giovane, non è mai stata sostituita. Anche la carte resterà quindi, avrà un pubblico più ristretto e soprattutto chi leggerà il sabato e la domenica durante l’weekend , quando già sono più alti gli indici di lettura. Quindi resterà, per un pubblico diverso, più ristretto, ma resterà”.

Tu parlavi di fiducia, che è un po’ come la fede, uno ce l’ha o non ce l’ha. Ma sui social è diffusa invece la sfiducia, nei giornali ma anche negli stessi giornalisti, vengono attaccati, insultati, dicono che nascondono la verità, che sono al servizio dei poteri forti, che sono questa mitica entità indefinibile…

“Allora, i social sono una grande opportunità del nostre tempo ma naturalmente sono anche una trappola. Il fatto che siano molti attacchi ai giornalisti non ci deve né intimidire né scoraggiare. Anzi, gli stessi giornalisti sui social devono esserci, i giornali fanno bene ad esserci, con il loro marchio, la loro riconoscibilità, il loro patrimonio di idee e di valori. Quindi io non penso che si debba fuggire dai social, né spaventarsi, ma bisogna esserci, con le proprie armi di credibilità e non preoccuparsi per gli attacchi, perché le persone aggressive sono meno di quel che appare perché come sempre il rumore di fondo ci colpisce ma nessuno spavento. Esserci e combattere la buona battaglia, ogni giorno, le persone hanno bisogno di credibilità”.

E’ però vero che nella nostra categoria, tra noi giornalisti, ci sono anche quelli che non aiutano ad aumentare la credibilità, urla e insulti reciproci e allora non ci si meraviglia se gli ascoltatori pensano, va bene, sono di parte, sono al servizio di qualcuno, non cercano la verità, credono di possederla, come ognuno di noi… Quindi perché dovrei credergli?

“Sicuramente c’è un problema di credibilità nella nostra categoria, dovremo partire da una seria autocritica, per alcune opinioni, per alcune intemperanze ma è anche vero che c’è sempre stata, adesso ce ne accorgiamo un po’ di più ma ci sono sempre stati e se vogliamo guardare il bicchiere mezzo pieno è un segno del pluralismo. In un paese dove anche i giornalisti si confrontano, litigano come fossero politici è una situazione comunque migliore rispetto a un paese dove l’informazione è piatta e schierata a senso unico. Altrove e in questo momento penso alla Russia  non c’è certo un pluralismo di informazione, noi abbiamo un pluralismo, magari chiassoso e a volte anche troppo però… me lo tengo stretto, perché comunque il pluralismo è il sale della democrazia”.

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