Jacopo: “Le botte, l’ospedale, la paura. Vedo ‘ragnatele’ ma non ho rancore. Guarirò, ho frullato una bistecca ma sapeva di segatura, il paese mi sta vicino”
La neve è appena sopra, come a disegnare un bordo e un guscio per chi arriva qui al Dezzo, spartiacque tra un bianco intenso e il verde e grigio che si mischiano con il fiume che scandisce il ritmo di una domenica vuota di gente, il resto lo fa il vento, che soffia gelido e ti porta dritto dentro l’inverno, che qui è lungo ma mica brutto, anzi, la neve sa di ovatta e il cielo sembra a portata di mano.
La porta in legno del bar pizzeria Al Portek è socchiusa, dentro ci aspetta Jacopo Scolavino, il ragazzo massacrato di botte poco più di un mese fa a Schilpario,
Jacopo è seduto lì, in un tavolo del suo locale che da quel giorno è chiuso. Di quel pestaggio ne abbiamo parlato, adesso siamo venuti qui perché a parlarne sia lui, visto che di voci ne sono girate tante, e in altri casi troppo poche, perché in redazione sono arrivate telefonate una settimana dopo il pestaggio, telefonate che chiedevano come mai non se ne parlava, alcuni hanno sostenuto che la valle fosse omertosa, ma qui attorno a Jacopo si è unito un intero paese.
Jacopo parla piano, la bocca è ancora piena di punti di sutura e non riesce ad aprirla bene.
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