PISOGNE - Quei 12 ucraini nella caserma della Finanza. Victoria: “Abbiamo portato qui i vestiti di mio marito così i miei figli sentono il suo profumo”
Visi che raccontano storie, tutte diverse tra loro, le lacrime si mescolano ai sorrisi, i ricordi sono ferite aperte nel cuore. Ci sono nonne, mamme, figlie. Ci sono adolescenti e ci sono bambini. In comune c’è la fuga dalla guerra. Dall’Ucraina all’Italia in cerca di un posto sicuro.
Il cielo è azzurro, è una serata tranquilla di maggio sul lungolago di Pisogne. Tania, che vive qui da tempo, è originaria dell’Ucraina, è proprio lei a guidarci in questo viaggio di emozioni travolgenti, a cui restare indifferenti è davvero impossibile.
Siamo a pochi passi dalla stazione dei treni. Sono le 18 e uno corre in direzione Edolo. Suoniamo il campanello dello stabile giallognolo che ospitava la caserma della Guardia di Finanza. Oggi è diventato una grande casa che accoglie dodici persone fuggite dall’Ucraina. Non è difficile capirlo, ci sono bandiere tricolori e giallo azzurre che sventolano sulle ringhiere grigie. Negli ultimi mesi sono stati tantissimi i volontari pisognesi che hanno dato il loro contributo per rendere questo luogo accogliente, chi portando la spesa, chi imbiancandolo, chi pulendolo, chi arredandolo e donando tutto il necessario per trasformarlo da luogo di lavoro ad un’abitazione. Tania suona il campanello, alla porta si affaccia Paola, 12 anni, capelli scuri che scendono sulle spalle. Sorride. È lei ad accoglierci, a farci attraversare il corridoio e accompagnandoci in salotto, nella seconda stanza alla nostra sinistra. Dalle scale scende mamma Victoria, che subito ci offre il caffè. Ci sediamo sul divano e Tania inizia a spiegare perché siamo qui. Nel frattempo arriva Tamara 72 anni, che in Italia è arrivata insieme alla figlia e al nipote di 10 anni, e poi Alina con Serhiy, che di anni ne ha soltanto due ed è il più piccolo di casa. Nessuno si conosceva, ma fin dal primo minuto è stato come entrare in una grande famiglia. Ognuno qui ha la sua stanza al piano superiore mentre dove ci troviamo ci sono i due salotti, le stanze dove i ragazzi possono studiare e collegarsi con le scuole ucraine per seguire le lezioni, la cucina e il soggiorno.
Entra qualche raggio di sole in salotto, è abbastanza per illuminare gli occhi lucidi delle mamme che iniziano a raccontare come è cambiata la loro vita da quel giorno di febbraio. Tamara si siede su una sedia accanto alla porta, stringe tra le mani il suo bastone: “Io sono di Kharkiv, quando i russi hanno iniziato a bombardare la città, mi sono spostata in un’altra insieme a mia figlia e mio nipote, credevamo fosse tranquillo, ma la guerra è arrivata anche lì. Abbiamo deciso di andare in Polonia, ci aspettavano degli amici, ma non potevamo restare per molto tempo e così siamo arrivati in Italia. Noi avevamo la nostra auto, altrimenti per me sarebbe stato impossibile muovermi, visto che faccio fatica a camminare. Non abbiamo avuto il tempo di portare niente con noi, siamo scappati e basta, ci siamo fatti spedire un pacco da casa nelle settimane successive. Non finiremo mai di ringraziare le persone di Pisogne, ci hanno fatto trovare tutto quello di cui avevamo bisogno”.
.. accenna un sorriso, che si spegne quando torna a parlare della guerra: “Avevamo paura e l’abbiamo ancora… quando sentiamo qualche rumore, la mente va subito ai bombardamenti. Quando sentivamo il temporale il mio nipotino guardava la mamma e le diceva di stare tranquilla che qui non arrivano le bombe”.
Poi guarda Tania, c’è ancora una cosa da dire: “Sono felice, perché mi hanno regalato anche una sedia a rotelle e così posso andare un po’ più lontano, almeno a vedere il lago. Qui è tutto molto bello… e chi l’avrebbe mai detto che a 70 anni sarei arrivata qui?”.
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