Darfo - la storia

Stefano, 28 anni, medico al Civile nella bufera Covid

“Ricordo le prime notti, ho stretto la mano a una signora, era l’unica cosa che potevo fare”

Stefano, 28 anni, medico al Civile nella bufera Covid
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“Fare il medico è il lavoro più bello del mondo se uno ci crede”, inizia così la lunga chiacchierata con Stefano, che di cognome fa Cotti Piccinelli. Originario di Darfo Boario Terme, camuno nel sangue, 29 anni ancora da compiere.

Un anno tosto per chi come lui ha affrontato il Covid in prima linea, nelle corsie di un ospedale, il Civile di Brescia. È una domenica mattina di marzo, il 14, e proprio in questi giorni di un anno fa, Stefano entrava nel reparto Covid per affrontare questa lunga battaglia contro il nemico invisibile. Facciamo un passo indietro per conoscere la vita di Stefano all’interno dell’ospedale: “Dopo il diploma del liceo a Breno ho scelto la facoltà di Medicina a Brescia, dove ho studiato per sei anni, ho fatto la tesi in Neurologia e dopo la laurea ho frequentato un anno la Neurologia con una borsa di studio e alla fine sono riuscito ad entrare con il test di specialità, che attualmente sto frequentando e che terminerà a dicembre del 2021 dopo quattro anni. Mi sono sempre occupato delle malattie neuromuscolari e di attività di reparto. Perché ho scelto questa strada? Innanzi tutto non c’è nemmeno un momento preciso in cui ho capito che avrei voluto fare Medicina, è stata una scelta che mi è sempre parsa chiara fin dagli ultimi anni del liceo, non avevo preso in considerazione altre strade seppur avessi delle passioni come la matematica o la fisica. La mia prima scelta è sempre stata quella. Forse per la voglia di aiutare gli altri o forse perché l’ambito della neurologia che già mi appassionava alle superiori era un ambito in grande espansione e con grande possibilità di ricerca, visto che c’è ancora molto da scoprire e conoscere”.

Poi è arrivato il Covid, che ha cambiato le carte in tavola… “A marzo dell’anno scorso, quando è iniziata l’emergenza, tutti i reparti si sono trovati ad affrontare il fatto di avere dei pazienti positivi, così è stato anche in Neurologia. Nel frattempo però, visti i dati di accesso in pronto soccorso per polmoniti interstiziali in continuo aumento, si è deciso di aprire dei nuovi reparti di indirizzo pneumologico e si era alla ricerca di personale che fosse in grado di poter seguire questi reparti. Ho parlato con il mio primario, mi sono offerto volontario con un altro strutturato della Neurologia e siamo stati inviati proprio un anno fa in un nuovo reparto, chiamato ‘Covid A’, un reparto di indirizzo più pneumologico con pazienti che presentavano solo polmoniti… si era creata un’equipe zero”.

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